Gli uffici della Soprintendenza sono ospitati nel Palazzo Patrizi Clementi
via Cavalletti n° 2
00186 ROMA
L’area dove sorge il palazzo è prossima a quella dove L. Cornelio Balbo alla fine del
I secolo a.C. aveva costruito l’omonimo teatro e dove sorge “l’attigua cripta Balbi”, corrispondenti rispettivamente all’isolato dei Mattei ed a quello della Chiesa e del convento di S. Caterina dei Funari.
La località fu abitata nel corso del Medioevo, come attestano i resti – che si rinvengono quasi in ogni isolato, numerosi come in ogni altra parte di Roma – di portici, quali quelli in Tribuna di S. Maria in Campitelli, Via dei Delfini e nelle case di Tor Margana, e di torri, come quelle denominate Tor de’ Specchi, Tor Margana e la torre nell’area di S. Maria in Campitelli, ecc.
Un punto di riferimento topografico frequentemente citato nei documenti è la Torre dei Melangolo, che, nella pianta di L. Bufalini (1551), è raffigurata con precisione sul margine settentrionale dell’isolato, poi interamente occupato dal Palazzo Patrizi Clementi. L’area è delimitata su quel lato da una strada, già Via della Torre Melangolo, oggi Via dei Delfini, approssimativamente parallela alla Cripta Balbi, ed a sud dalla via detta oggi “dei Funari”, la quale invece segue l’orientamento di un complesso, ugualmente, antico composto da tre templi.Nella pianta del Bufalini prima detta l’isolato è raffigurato più allungato di quanto non sia oggi, delimitato dalla biforcazione delle strade sopra citate, e verso est, da una via corrispondente all’odierna via Cavalletti.
L’edificio, a pianta trapezoidale irregolare ed allungata, si presenta come un blocco compatto – di quattro piani fuori terra più attico e seminterrato – che occupa tutto l’isolato dell’area di sedime. Al centro dello stesso è presente una corte quadrata con attestati, sui lati sud-est e nord-ovest, due portici a tre campate e con volte a crociera sorrette da pilastri. Sugli stessi s’immettono le gallerie degli androni con volte a botte, che costituiscono gli accessi dai due portoni principali. Inseriti in uno dei muri della galleria nord-ovest sono visibili dei grandi blocchi in travertino forse di spoglio e comunque riferibili alla preesistenza archeologica. Ai due vertici contrapposti della diagonale del cortile si attestano i corpi scala: il principale a rampe rettilinee voltate, alternate con pianerottoli ai piani ed agli ammezzati, ed il secondario a rampa elicoidale e tromba cilindrica interna.
L’esterno è caratterizzato dalla tradizionale composizione a blocco di tipo sangallesco, con facciate piane scandite, sui fianchi, dai cantonali in bugnato piatto e, orizzontalmente, da cornici marca-davanzale. Il tutto è sormontato da un cornicione modanato aggettante caratterizzato in modo continuativo da un profilo con “gola” a sguscio e protomi leonine. Particolarmente più elaborata la sezione di quello sul fronte a nord-ovest accanto alla facciata di S. Caterina de’ Funari – il più antico ed in origine il principale – dove la cornice prima detta si s’imposta su un’altra profilatura con mensole aggettanti alternate a lacunari con rosette. Il prospetto su Via Cavalletti e P.zza Campitelli è caratterizzato da un’altana superiore di realizzazione più moderna (fine XIX – inizio XX sec.) e da un portale d’ingresso, sormontato da un balcone, posto asimmetricamente rispetto alla facciata medesima . L’elemento del portale sormontato dal balcone è presente anche sul fronte più antico a nord-ovest ma, in questo caso, viene rispettata la composizione simmetrica della facciata.
All’interno della corte facciate piane s’alternano due a due con facciate articolate da un semplice sistema con ordini classici stilizzati e prevalentemente piatti. Alle modanature interne ed esterne in travertino o a stucco assimilato al travertino medesimo, si contrappongono i fondi ad intonaco che, per colore e trattamento superficiale dovevano presumibilmente imitare una cortina laterizia secondo un modello ampiamente diffuso in area romana e riscontrabile anche in molti altri edifici similari presenti in zona.Gli interni, fortemente alterati in conseguenza degli usi moderni cui è stato adibito l’edificio, presentano sostanzialmente soltanto all’appartamento nobile al primo piano, apparati decorativi di valore sulle volte, sulle pareti e sugli originali cassettonati lignei. L’appartamento è infatti caratterizzato dalla presenza di una serie di sale e saloni che si susseguono le une di seguito agli altri in infilata, ordinariamente con la parte alta delle murature d’ambito sormontata da fregi affrescato e con soffitti lignei cassettonati, anch’essi riccamente decorati. Si distinguono in tal senso solo le volte in “incannucciata”, anch’esse affrescate, della sala sul fronte settentrionale oggi adibita a biblioteca e la piccola galleria che funge da atrio d’accesso dalla scala secondaria a chiocciola. Le varie sale contornano, con geometrie non sempre regolari, la corte centrale per adattarsi alle preesistenze ed alla forma dell’isolato, salvo che sull’asse principale del fabbricato passante per il centro della corte interna, su cui si allineano due grandi saloni di rappresentanza, affiancati, sempre sulla medesima direttrice, su uno o su ambo i lati lunghi, dalle gallerie sopra dette. Lungo le pareti delle sale si susseguono immagini di tema profano, paesaggi campestri e marine, loggiati popolati da putti e soggetti sacri racchiusi all’interno d’elaborate architetture illusive. Il ciclo pittorico appare espressione tipica delle campagne decorative che nella prima metà del XVII secolo hanno coinvolto quasi tutti i palazzi nobiliari romani e che hanno visto attive le botteghe del primo barocco. Tuttavia tale ciclo non sembra rispondere ad un programma iconografico unitario se non per quanto presumibilmente discende dalla volontà d’esaltazione delle virtus e delle qualità del committente Francesco Patrizi. L’esame dei dati stilistici conferma la realizzazione dei dipinti al primo trentennio del XVII secolo, confermata da alcuni studi specifici che concordano nella datazione a ridosso del 1626, data di acquisto del palazzo da parte di Francesco Patrizi e di sua moglie Caterina Pinelli (lo stemma a bande azzurre dei Patrizi e quello “parlante” dei Pinelli, con le pigne, sono presenti nelle stanze e compaiono anche tra i partiti ornamentali dei cassettonati).Discordanti sono invece le attribuzioni che propongono, da un lato, il nome del toscano Giovanni da San Giovanni – cui si ascrive principalmente la decorazione del salone con le Storie d’Abramo, e di conseguenza gli altri dipinti – o al contrario quello di Filippo Franchini, operativo nell’orbita della bottega d’Agostino Tassi e suo seguace; a lui spetterebbe buona parte del ciclo pittorico, salvo le scene bibliche del salone confermate invece a Giovanni da San Giovanni. A margine, priva di contributi specifici, resta la decorazione della volta dell’attuale biblioteca, di cronologia più tarda – nella seconda metà del Seicento – ed attribuzione ancora incerta. Lì artisti della cerchia cortonesca hanno delineato le personificazioni delle arti liberali intorno all’ovale centrale con l’allegoria della “Verità svelata dal Tempo”. possibilmente colore?). Nel corso dei secoli i dipinti hanno subito aggiustamenti” o totali risistemazioni”, ad esempio nella sala dei “vecchi barbuti”, dalla quale sono state eliminate alcune porzioni, verosibilmente relative a stemmi, o nella grande sala di passaggio, con la tarda ricopertura di spaccati paesistici, sostituiti da nuovi paesaggi di gusto più aggiornato.
(G. Palandri)